Cambio di intestazione per le fatture royalties ad Amazon

Diversi operatori stanno ricevendo in questi giorni delle comunicazioni da parte di Amazon dove vengono forniti i nuovi dettagli per la fatturazione a seguito della maturazione di royalties per cessione di contenuti digitali pubblicabili su Kindle.

A seguito di un accordo societario, infatti, la nuova società titolare dei diritti di sfruttamento relativi a Kindle Direct Publishing sarà, dal 1° novembre 2014, Amazon Media EU S.à.r.l. il cui numero di partita iva (VAT number) è il seguente: LU20944528.

E’ importante prendere nota di tale modifica in quanto la stessa impatta, oltre che sulle dichiarazioni instrastat da presentare con periodicità mensile o trimestrale, anche sulla comunicazione periodica delle operazioni intercorse con operatori residenti in paesi a fiscalità privilegiata (Amazon Media ha sede, come del resto Amazon EU, in Lussemburgo).

Tale adempimento lo ricordiamo, riguarda le operazioni attive e passive la cui controparte risiede in uno dei paesi rientranti nella c.d. “black list” dei paesi non collaborativi.

Anche la cessione di royalties nei confronti di Amazon, al superamento della soglia minima attualmente pari a Euro 500,00 per singola operazione, rientra pertanto in tale obbligo.

Ripensare i criteri di tassazione della new economy

La sentenza della Cassazione,  n. 1811 del 17 gennaio 2014 (quella, per intederci, sulla tassazione del gioco on-line) offre qualche spunto di riflessione all’interno dell’acceso dibattito circa la necessità di modificare le norme tributarie nazionali e internazionali per consentire un adeguato livello di tassazione nel settore della web economy.

Il caso affrontato nella sentenza riguardava una società titolare di concessione AAMS per l’esercizio di giochi pubblici a distanza on line, la cui  struttura necessaria per l’esercizio di tale attività (servers ed infrastrutture necessarie per il funzionamento del sito web attraverso cui è fornita l’offerta di gioco) nonché il luogo in cui vengono prese le decisioni riguardanti il «business italiano» erano localizzati all’estero mentre la società italiana, appartenente al medesimo gruppo, era utilizzata esclusivamente per attività di tipo ausiliario rispetto al core business (servizi di marketing e promizione dei giochi on-line, assistenza ai clienti italiani). La sentenza, richiamando in maniera puntuale consolidati principi di diritto tributario internazionale, afferma che il soggetto non va tassato in Italia in quanto la direzione effettiva dell’intero business è svolta all’estero ed ivi è localizzato l’oggetto principale della società.

Particolarmente rilevante appare la circostanza di aver appurato che il soggetto non residente non avesse in Italia né una sede di direzione né servers localizzati sul territorio, elementi che per definizione avrebbero potuto portare a concludere circa l’esistenza di una stabile organizzazione con conseguente “attrazione” di parte dei profitti conseguiti sotto la potestà impositiva del nostro paese.

Le norme ed i principi attuali in tema di fiscalità internazionale tendono a tassare il reddito dove viene svolta l’attività d’impresa principale che li genera.  Tuttavia, come è facile intuire, questo criterio “territoriale” pare francamente inadeguato alla luce della realtà intangibile di internet e dei più recenti modelli di business adottati dalle imprese. Occorre riepensare il sistema andando a tassare i redditi lì dove vengono prodotti, ossia dove si trovano i consumatori, indipendentemente da dove venga «centralizzato» l’esercizio dell’attività d’impresa. Ovviamente non sarà sufficiente una semplice modifica normativa di diritto interno (vd. la c.d. web tax) ma dovrà necessariamente trattarsi di un percorso condiviso a livello internazionale.