La necessità di una maggiore regolamentazione all’home-sharing è stata un’esigenza sollevata di recente da più paesi, tra cui anche l’Italia (i parlamentari
italiani avevano suggerito l’introduzione di una cedolare secca al 21% e la creazione di un registro ad hoc dedicato agli «ospiti», proposta poi non passata).

A questi problemi prova a dare una soluzione la stessa Airbnb detentrice del principale portale di affitti-brevi formulando delle indicazioni di «buone pratiche» quindi non delle vere e proprie norme.

I modelli indicati come vincenti da Airbnb sono due: fissare il limite a 180 giorni (come avviene a San Jose), o creare un doppio binario: affitto libero fino 60-90 giorni con l’aggiunta di avere l’obbligo di richiedere una licenza oltre tale limite (come avviene già a Londra e a Philadelphia). Un’ altra proposta riguarda il numero di appartamenti gestiti: in due città (San Francisco e New York), è stata già introdotta la regola del «one host, one home» (un ospite, una casa) che porta con sé il principio: ogni proprietario può essere legato a un solo indirizzo. Un correttivo, questo, per cercare di impedire al gestore, che prende in carico più appartamenti, di trasformare l’affitto saltuario in un lavoro vero e proprio. Infine, un’altra buona pratica, inserita nel documento riguarda il principio: chi viola per tre volte le regole viene espulso dalla piattaforma. La società precisa che si dice disposta a studiare «metriche aggiuntive » per «aiutare le amministrazioni a definire le politiche da adottare», restando però nell’ambito dei dati aggregati e anonimi.

Il documento con le proposte di regolamentazione di Airbnb è scaricabile da questo link.