Legittimità della gestione dei diritti d’immagine attraverso società: analisi di una recente sentenza

La sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di Firenze del 10 gennaio 2024 ha stabilito che la creazione di una società per gestire il diritto di immagine di un calciatore, anche se coinvolge un familiare, non costituisce di per sé un’operazione fraudolenta. Inoltre, i proventi derivanti da questa attività non possono essere considerati redditi da lavoro dipendente.

Il caso aveva visto coinvolto un noto ex calciatore della Juventus e la sua societa` di sfruttamento del diritto di immagine. All’ex calciatore, in particolare, veniva contestato un “irrealistico” risparmio d’imposta (indebito) derivante dalla costituzione di un veicolo societario gestito insieme al fratello (laureato in giurisprudenza) per lo sfruttamento del proprio diritto di immagine.

Secondo gli Uffici dell’Agenzia delle entrate il fatto della mancanza (i) di beni strumentali e (ii) di personale dipendente, unito al fatto che la creazione del veicolo societario sarebbe servita al solo scopo di abbattere il carico fiscale sui compensi da c.d. image rights, avrebbe dovuto condurre a qualificare la fattispecie in abuso del diritto.

Stando, infatti, alle contestazioni dell’Amministrazione finanziaria, qualora i compensi in parola fossero stati percepiti direttamente dall’ex calciatore, avrebbero scontato una tassazione piu` gravosa poiche´ redditi di lavoro dipendente.

La sentenza è importante perché legittima la pratica di gestire l’immagine tramite una società e chiarisce che i compensi per image rights non devono essere sempre considerati redditi da lavoro dipendente, ma possono essere qualificati come redditi da lavoro autonomo.

Questo è particolarmente rilevante quando il diritto di sfruttamento dell’immagine non è ceduto al datore di lavoro e l’attività di gestione dell’immagine è esercitata abitualmente e professionalmente, confermando così la natura di lavoro autonomo dei proventi. La sentenza riflette un principio di onnicomprensività nell’interpretazione dei redditi da lavoro autonomo e si basa sulle disposizioni del Testo Unico delle Imposte sui Redditi

Indagini della Guardia di Finanza: l’attività di influencer non è sfruttamento del diritto di immagine

E’ notizia di questi giorni l’effettuazione di indagini da parte della Guardia di Finanza che hanno portato agli accertamenti di redditi non dichiarati, tra gli altri, da parte di noti influencer.

Tralasciando le allarmanti ipotesi descritte dalla cronaca di compensi, strettamente connessi alle visualizzazioni raggiunte, conseguiti in completa evasione di imposta, ci concentriamo qui su alcuni problemi che possono sorgere a causa della controversa natura dell’attività di influencer e della conseguente qualificazione a fini tributari del relativo reddito prodotto.
A tale proposito possono venire in aiuto alcuni passaggi della recente sentenza della Corte Giustizia Tributaria di secondo grado Torino, 15 maggio 2023, n. 219 nell’ambito del c.d caso Ronaldo.

Secondo tale sentenza nel caso di influencer puro (in quanto esercita solo o in via prevalente tale attività) non appare corretto parlare di cessione del diritto di sfruttamento economico dell’immagine quale principale attività produttiva del reddito percepito.

Riportiamo qui un passaggio di tale sentenza: “Si pensi, ad esempio, a quanto succede con le numerose figure di ‘influencer’ (tra i quali deve ormai annoverarsi anche l’attuale appellante), ormai diffusissime sulla rete telematica, la cui notorietà spesso prescinde da particolari abilita o successi in qualche settore di attività e consegue principalmente – e talvolta esclusivamente – da una particolare abilita nella mera presentazione della propria persona. … Dunque, l’esercizio abituale e professionale della gestione di quell’immagine rende evidente la qualificabilità del reddito che ne consegue come proveniente da un’attività di lavoro autonomo, a norma dell’art. 53, comma 1, T.U.I.R.”

Sempre secondo i medesimi giudici, quindi, “Cio che infatti emerge prepotentemente, in fenomeni del tipo di cui ci si occupa in questa sede, e il fatto che l’immagine del personaggio famoso finisce per costituire di per se´ un valore, la cui promozione rappresenta essa stessa un’attività professionale (avente natura di lavoro autonomo) produttiva di reddito”.

Appare dunque evidente, secondo tale sentenza, che non si possa parlare, in questi casi, di cessione del diritto di sfruttamento economico dell’immagine e/o di obbligo di concedere a terzi il diritto di sfruttamento di contenuti multimediali. L’attività degli influencer è caratterizzata da un impegno professionale continuo, volto a promuovere la creazione di contenuti e la veicolazione degli stessi e della propria immagine presso i followers (1). Di conseguenza essa possiede tutti i requisiti richiesti dall’art. 53 T.U.I.R. e cioè l’esercizio per professione abituale, ancorche´ non esclusiva, di attività di lavoro autonomo.

Dal punto di vista pratico la principale conseguenza è che l’attività di influencer non può prescindere dall’apertura di partita IVA come ditta individuale. Ciò ad eccezione delle possibile ipotesi in cui l’attività dell’influencer venga esercitata attraverso strutture societarie italiane ovvero estere definite star companies per cui il relativo reddito andrà inquadrato tra i redditi d’impresa.

Inoltre da un punto di vista previdenziale non si potrà invocare alcuna esenzione da contribuzione Inps legata allo sfruttamento del diritto d’immagine con la conseguenza che l’attività di influencer sarà soggetta ad iscrizione presso la Gestione Separata Inps con conseguente versamento della relativa contribuzione.

(1) La rilevanza dei followers all’interno del fenomeno social e` attestata anche dalla delibera 7/24/CONS dell’Agcom denominata “Linee guida volte a garantire il rispetto delle disposizioni del Testo Unico da parte degli influencer” laddove il numero di followers (1 milione) fa scattare gli obblighi previsti dalle Linee guida (misure in materia di comunicazioni commerciale; tutela dei diritti fondamentali della persona, ecc.).

Italy Enacts Global Minimum Tax Measures: Insights into Legislative Decree No. 209/2023

The legislative decree no. 209 of December 27, 2023, implementing Article 3, paragraph 1, letters c), d), e), and f) of Law 111/2023 (delegated law on tax reform) concerning international taxation, has been published in the Official Gazette 301 of December 28, 2023.

It encompasses, in particular, articles 8 to 60 and includes the transposition of EU Directive 2022/2523 on global minimum taxation, introducing the so-called global minimum tax, which takes effect from the financial years starting from December 31, 2023, the deadline set for the directive’s transposition.

Entities subject to this regulation are large corporate entities located in Italy that are part of a multinational or national group with annual revenues equal to or exceeding 750 million euros, as shown in the consolidated financial statements of the controlling parent company in at least two of the four immediately preceding financial years.

The mechanism involves three forms of minimum tax:

Income Inclusion Rule (Iir): This is the supplementary tax due from a parent company concerning group companies that are subject to an effective tax rate lower than 15% in the country of residence. The Iir is applied starting from the top of the participatory chain.

Undertaxed Payments Rule (Utpr): If the supplementary tax is not collected through the Income Inclusion Rule, the Undertaxed Payments Rule serves as a backstop measure. It applies under specific circumstances where the supplementary tax is not or only partially collected through the Income Inclusion Rule.

Qualified Domestic Minimum Top-Up Tax (Qdmtt): This comes into play when companies operating in Italy within a group result in an effective tax rate below the minimum 15%. It is a discretionary measure allowed by the directive and applied by Italy, where countries can introduce a national minimum tax.

The mechanism operates in three phases: first, the supplementary tax is levied by the country where the multinational group’s companies are subject to low taxation, if that country has chosen to introduce a qualified national minimum tax (Qdmtt); second, the supplementary tax is levied by the country where the direct or indirect participant is located, taking into account any amounts collected through a national minimum tax (Iir); finally, the Undertaxed Payments Rule (Utpr) is applied by countries adopting Globe rules, where the multinational group is present with other companies, in cases where the supplementary tax due for companies subject to low taxation has not been collected or has been collected only in part.

The calculation is based on the net accounting profit or loss for the financial year, calculated in accordance with the accounting principles used by the controlling parent company for the consolidated financial statements, before consolidation adjustments. Various adjustments are made, and typical transfer pricing rules apply to transactions between entities in different states, as well as typical rules for the permanent establishment’s statement in relationships between the permanent establishment and its head office.

The annual declaration must be submitted within the fifteenth month following the closing of the financial year to which the declaration refers (transitionally within the eighteenth month for the first financial year). Therefore, entities subject to this regulation will submit the annual declaration for 2024 by June 30, 2026, and for 2025 by March 31, 2027. Payments are made in two installments, with 90% due within the eleventh month following the last day of the reference financial year, and the remaining 10% due within the month following the deadline for the annual declaration.

Obbligo di ritenuta d’imposta sul compenso all’attore americano assunto per una produzione web in Italia

Un attore americano è stato assunto per interpretate alcuni ruoli in una produzione video curata da una azienda web italiana. Come deve essere trattato dal punto di vista fiscale il compenso corrisposto all’attore tenuto conto che il suo agente afferma di non poter emettere fattura in questo caso?

Nella prassi contabile e fiscale degli Stati Uniti non è previsto l’obbligo di emissione di fattura per prestazioni di servizi. Dal punto di vista della normativa italiana, se le riprese cinematografiche avvengono in tutto o in parte in Italia, si applicherà l’art. 7-quinquies del Dpr 633/72 con il conseguente obbligo per il soggetto che effettua il pagamento all’attore di emettere autofattura ai sensi dell’art. 17, comma 2, Dpr 633/72.

Per quanto riguarda le imposte dirette, qualora le prestazioni artistiche siano svolte in Italia, è applicabile la ritenuta del 30% a titolo di imposta sui compensi corrisposti (art. 25, comma 2, Dpr 600/73). Resta salva, comunque, l’applicazione della convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Stati Uniti in base alla quale i redditi che un residente di uno Stato contraente (Usa) ritrae dalle sue prestazioni personali svolte nell’altro Stato contraente (Italia) in qualità di artista di cinema sono imponibili in detto altro Stato (Italia) se l’ammontare degli introiti lordi percepiti da tale artista, comprese le spese rimborsategli o sostenute per suo conto, in relazione a tale attività eccede 20.000 dollari Usa (o il suo equivalente in Euro) nell’anno fiscale considerato, o se tale artista soggiorni in tale altro Stato (Italia) per un periodo o periodi che oltrepassano in totale 90 giorni nell’anno fiscale considerato.

Di conseguenza qualora l’attore percepisca nell’anno piu’ di 20.000 dollari (comprensivi dei rimborsi spese) oppure, sempre nell’anno, soggiorni in Italia complessivamente piu’ di 90 giorni, l’intera somma (comprensiva dei rimborso spese) dovrà essere assoggettata a ritenuta del 30 per cento. Diversamente, qualora non si oltrepassino i citati limiti, non dovrà essere applicata alcuna ritenuta, a fronte dell’acquisizione di un certificato di residenza fiscale negli Stati Uniti, rilasciato dalle autorità fiscali americane.

Patent box e sviluppo della nuova versione di un software

Esaminiamo il caso di una società che ha emesso la nuova versione di un software a seguito di lavori svolti tra il 2019 e 2021. E’ possibile esercitare l’opzione per il nuovo Patent box per la nuova versione del software anche in presenza di una opzione esercitata con la vecchia normativa?

Con riguardo a un nuovo Ip (intellectual property) sorto nel periodo d’imposta in corso al 28 dicembre 2021, è possibile esercitare l’opzione solo per il nuovo Patent box (Pb), a prescindere da quando siano stati effettuati i lavori per la realizzazione e lo sviluppo dello stesso (provvedimento dell’agenzia delle Entrate 15 febbraio 2022, paragrafo 12.5), anche qualora l’Ip 2021 risulti complementare ad altri Ip oggetto di precedente opzione secondo il vecchio regime Patent box.

Ciò detto, nel caso di specie, risulta essenziale la mappatura degli Ip in capo alla società, per valutare se la nuova versione del software risponda effettivamente ai requisiti di legge, allo scopo di qualificarsi come un nuovo Ip autonomo (assoggettabile così al nuovo Pb), o se, diversamente, costituisca una semplice evoluzione dell’Ip esistente già opzionato in passato. In tale ultimo caso, infatti, sarebbe preclusa l’extra-deduzione dei costi R&S per lo sviluppo della nuova versione, e continuerebbe ad applicarsi la detassazione del reddito relativo al software già opzionato in passato secondo le regole del vecchio Pb.

La rilevanza dell’analisi legale è ancor più dirimente alla luce del fatto che, come precisato dalla bozza di circolare dell’agenzia delle Entrate in pubblica consultazione, risultano opzionabili al nuovo Pb anche i software protetti da copyright non registrati, per i quali – non potendosi fare riferimento a un atto formale come la registrazione – è necessaria una dichiarazione sostituiva a norma del Dpr 445/2000, al fine di attestarne l’esistenza e la rispondenza ai requisiti previsti dalla legge sul diritto d’autore.

Nell’ipotesi di applicabilità del nuovo Pb, per poter includere nella maggiorazione del 110% i costi sostenuti negli anni precedenti (afferenti alla creazione del software 2021), sarà comunque necessario attendere l’anno di registrazione di quest’ultimo alla Siae (Società italiana degli autori ed editori), così da poter applicare il “recapture” previsto dal meccanismo premiale. A tale ultimo fine, si sottolinea che i costi eventualmente già confluiti nel numeratore del nexus ratio per il vecchio Pb negli anni passati non sono agevolabili ai fini del nuovo Pb, così come disposto nel citato provvedimento 15 febbraio 2022.

Compravendite online tra privati: quando vanno dichiarati i redditi?

Spesso viene chiesto se la vendita di oggetti usati (può trattarsi di vecchi indumenti e oggetti usati ma anche beni di altro tipo come libri o card collezionabili) su piattaforme di commercio elettronico (come Vinted, eBay, e simili) può dar vita a risvolti fiscali in particolare alla necessità o meno di dichiarare quello che viene incassato.

Va subito detto che le compravendite online tra privati – se non sono a scopo di lucro – non subiscono tassazione. Ma cessioni o acquisti sul web offrono una casistica articolata. Proviamo ad analizzarla con ordine.

Secondo la legge italiana rientrano nella categoria dei “redditi diversi” anche le «attività commerciali non esercitate abitualmente». Questa è la formula usata nell’articolo 67, lettera i), Dpr 917/86. Che però non è di semplicissima lettura, e ancor meno di agevole applicazione: bisogna infatti circoscrivere due concetti essenziali, che sono:

1 la nozione di «attività commerciali»

2 quella di «esercizio abituale»

La prima definizione serve a distinguere ciò che è imponibile (perché, appunto, «commerciale») da ciò che resta nella sfera privata e non è quindi tassato.

La distinzione, nelle attività commerciali, tra quelle abituali e quelle non abituali serve invece a separare i redditi diversi, occasionali, e i redditi derivanti dall’esercizio d’impresa: per i primi, ancorché sia prevista la tassazione Irpef, non esistono particolari adempimenti; nel secondo caso, invece, bisogna aprire la partita Iva e assoggettarsi a tutti i relativi obblighi formali (iscrizione nel registro delle imprese, emissione fatture, contabilità e così via), scegliendo uno dei vari regimi fiscali applicabili alle attività autonome. Tra le altre conseguenze dell’esercizio non occasionale del commercio, sorge anche l’obbligo di iscrizione alla gestione Ivs commercianti presso l’Inps.

Entro quali limiti dunque l’operazione può essere considerata «non commerciale»?

Pur nell’incertezza interpretativa, un punto fermo è che per aversi operazione «commerciale» è necessario che la vendita sia stata preceduta da un acquisto preordinato ad essa, allo scopo di realizzare un profitto (è il cosiddetto intento speculativo, o fine di lucro).

Nell’attività “amatoriale”, al contrario, manca questa preordinazione dell’acquisto alla successiva vendita a scopo di profitto. Ad esempio, l’agenzia delle Entrate (risoluzione 5/E/2001) ritiene non commerciale l’operazione di un’associazione che venda all’asta opere d’arte ricevute in donazione, per finanziare i propri scopi istituzionali: si tratta, infatti, di una «semplice dismissione patrimoniale».

Se l’attività resta occasionale, l’imponibile Irpef va nel quadro D del 730, oppure nel quadro RL del modello Redditi. È tassata la differenza tra l’importo incassato nell’anno, e le spese “specificamente” inerenti. Non ogni spesa, quindi, risulta deducibile dal corrispettivo riscosso, ma solo quelle specifiche e sempreché siano adeguatamente documentate: ad esempio, oltre al costo di acquisto del bene, si potranno dedurre le commissioni applicate dalla piattaforma o dal sistema di pagamento; le spese di spedizione, se non rimborsate dall’acquirente.

Non sono invece deducibili le spese per beni e servizi che, pur se utilizzati per la vendita, non sono riferibili in via esclusiva all’attività commerciale, come ad esempio l’acquisto del Pc o tablet, l’abbonamento internet, i costi per archiviazione in cloud, e così via.

Il passaggio dalle operazioni commerciali occasionali all’attività imprenditoriale (con relativi obblighi) ha confini incerti: non sempre è facile dire con certezza il momento in cui si sconfina nell’attività «abituale professionalmente organizzata».

Un indice molto significativo è sicuramente la presenza di elementi strutturati, come: un sito proprio o una bacheca/negozio virtuale dedicati; l’acquisto di server; collaboratori; una rete di promotori/influencer che pubblicizzano i servizi; l’iscrizione a GoogleAds o servizi simili.

Ma chi lavora esclusivamente con il suo telefonino, tablet o Pc di casa, può diventare “imprenditore” tenuto ad aprire partita Iva? Si torna a questioni dibattute nei manuali di diritto commerciale degli anni ’60, che si domandavano se fosse imprenditore chi giocava in borsa usando solo il proprio telefono.

L’agenzia delle Entrate, in genere, basa gli accertamenti sul numero elevato di transazioni e sulle dimensioni economiche delle entrate.

Quando l’attività diventa abituale, ad esempio perché si è operativi con continuità tutto l’anno, si consegue un guadagno (vendendo ad un prezzo superiore a quello di acquisto), e l’importo complessivo non è trascurabile (indicativamente, sopra 5.000 euro di incasso), cresce sensibilmente la probabilità che il Fisco contesti la natura imprenditoriale anche a fini Iva .

Di recente la Cassazione (ordinanza 26987/2019) ha riconosciuto agli uffici (dell’Agenzia o della Guardia di Finanza) la facoltà avvalersi degli elenchi forniti dalle piattaforme online per fondare le proprie contestazioni, accertando i redditi non dichiarati sulla base delle transazioni registrate online. Si tratta di una presunzione semplice, che ammette una teorica (ma assai difficile) prova contraria; in pratica, tuttavia, quando il volume delle vendite cresce è meglio, se si vuole proseguire, prevenire brutte sorprese aprendo spontaneamente la partita Iva.

Dal punto di vista degli adempimenti, dal momento che l’attività di vendita non può più essere definita occasionale, occorre in primo luogo procedere con l’iscrizione, quale piccolo imprenditore, presso la Camera di Commercio competente, in base alla sede dell’attività (che può anche essere un’abitazione privata), con contestuale apertura di partita Iva; contestualmente, qualora lo consenta il Suap competente (ossia quello del Comune in cui ha sede la neonata impresa) o in un secondo momento, occorrerà comunicare l’inizio attività tramite una procedura telematica Scia (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) che deve contenere una serie di informazioni tra cui l’assenza di fallimenti e condanne penali, il settore merceologico, il dominio web e l’eventuale magazzino di stoccaggio della merce ed i riferimenti del sito utilizzato per effettuare le vendite online.

Si potranno anche sfruttare i benefici della legge di Bilancio 2023, che ha innalzato da 65.000 a 85.000 euro la soglia di ricavi per beneficiare della cosiddetta flat-tax del 15% (ridotta al 5%, per i primi 5 anni).

Grande attenzione, nel momento in cui si valutano i profili di convenienza economica, va posta rispetto gli obblighi previdenziali: trattandosi infatti di attività commerciale svolta abitualmente, sono dovuti i contributi Inps alla gestione Ivs commercianti, i quali prevedono una quota minima, a prescindere dal reddito prodotto (i cosiddetti contributi sul minimale).