Con la Risoluzione 87/E del 14/10/2014 l’Agenzia delle Entrate interviene sui requisiti richiesti ai fini dell’iscrizione nell’elenco delle start-up innovative. Viene in particolare esaminato il secondo dei requisiti alternativi richiesti dall’art. 25, comma 2, lett. h Dl 179/2012 ossia quello della forza lavoro “qualificata“. Tale requisito, lo ricordiamo, prevede l’impego “come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un’università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, personale in possesso di laurea magistrale“.

In sintesi l’Agenzia delle Entrate chiarisce che:

qualsiasi lavoratore percipiente un reddito di lavoro dipendente ovvero a questo assimilato può essere ricompreso tra la forza lavoro rilevante ai fini della verifica della sussistenza del requisito;

– l’impiego del personale qualificato può avvenire sia in forma di lavoro dipendente che a titolo di parasubordinazione o comunque “a qualunque titolo” e che sicuramente rientra nel novero anche la figura del socio amministratore;

– tuttavia, il dato letterale della norma non può portare alla scissione della locuzione “collaboratore a qualsiasi titolo” da quella di “impiego”. Pertanto gli amministratori-soci possono essere considerati ai fini del rapporto di cui all’articolo 25, comma 2, lettera h), n. 2, del DL n. 179 /12, soltanto se anche soci-lavoratori o comunque aventi un impiego retribuito nella società “a qualunque titolo”, diverso da quello organico;

– in caso contrario, qualora i soci avessero l’amministrazione della società ma non fossero in essa impiegati, gli stessi non potrebbero essere considerati tra la forza lavoro, ai fini del citato rapporto, atteso che la condizione relativa “all’impiego” nella società non risulterebbe verificata;

– gli stagisti, essi possono essere computati quale forza lavoro solo nel caso in cui siano retribuiti mentre i consulenti esterni titolari di partita Iva non possono essere annoverati tra i dipendenti e i collaboratori rilevanti ai fini del citato rapporto;

– ai fini della verifica della percentuale di un terzo o di due terzi, si deve effettuare un calcolo “per teste” e non in base alla remunerazione.

L’intervento chiarificatore dell’Agenzia pare sicuramente apprezzabile. Tuttavia, con riguardo alla figura del socio-lavoratore non risulta chiaro se l’Agenzia intende riferirsi alla circostanza di fatto per cui il socio in quanto tale svolga la propria attività in favore della società (c.d. “socio d’opera” come definito ad es. ai fini inps) oppure al fatto che lo svolgimento dell’attività lavorativa da parte del socio sia necessariamente formalizzata in un apposito contratto di lavoro dipendente con la società.

Ricordiamo infatti che la seconda ipotesi, pur essendo generalmente ammessa dalla giurisprudenza, potrebbe conciliarsi in modo problematico con le condizioni dettate dall’inps (circolare 21.6.1983 n. 177) ai fini della ammissibilità di un rapporto di lavoro subordinato con la società. In tale documento di prassi infatti l’inps afferma, tra l’altro, che “la prestazioneda parte del socio di attività lavorativa per la società deve essere diversa da quella che svolge eventualmente come socio” e tale circostanza appare francamente poco realizzabile nell’ambito delle società a ristretta base societaria che spesso possiedono gli altri requisiti per essere start-up innovative.

Ricordo infine che secondo la giurisprudenza (da ultimo Tribunale di Genova sentenza 299/2014) il socio non può giuridicamente dipende da sè stesso e quindi non sarebbe possibile stipulare un contratto di lavoro subordinato quando si è in presenza di un unico socio o di partecipazioni maggioritarie.